1. Così scrisse, alla fine del mese di ottobre del 1921, il tenente
Augusto Tognasso alla vigilia del trasporto delle undici salme di soldati senza nome recuperate nei campi di battaglia più cruenti della Grande Guerra alla vigilia del loro trasporto da Gorizia ad Aquileia, dove sarebbe stato scelto fra quelli il milite ignoto, il soldato senza nome che sarebbe divenuto il simbolo di tutti i caduti della guerra.
Sono parole che ci riportano a un clima commosso di grande venerazione verso coloro che, combattendo, avevano sacrificato la loro giovane esistenza per la causa della Patria, per la libertà e l’Unità della nazione. Una commozione che oggi è anche la nostra, in questo giorno in cui facciamo memoria e ricordiamo la nostra storia; una commozione che in questa celebrazione si fa preghiera per tutti i caduti di ieri e di oggi, per tutti coloro che hanno mostrato quell’amore di cui parla Gesù nel Vangelo, che li spinse “a dare la vita per i propri amici”.
Vogliamo anche noi questa mattina sentire lo spirito accarezzato nel cuore dal ricordo che non deve spegnersi ne affievolirsi, perché è parte di noi, di quello che oggi noi siamo, come comunità civile, come nazione. Amore e pace sono le due parole che oggi ci guidano, facendo eco alle parole di Tognasso.
L’amore ci lega a Dio, perché egli è Amore, come ci ricorda San Giovanni, e ci ha comandato di amarci gli uni gli altri, sul suo esempio. Anche la testimonianza dei nostri caduti ci parla di amore: un amore tremendamente mostrato a costo della vita, mostrato nella crudeltà dei campi di battaglia, un amore che si trasforma in sacrificio, il più alto, celebrato per ideali nobili che si voleva fossero i capisaldi della nostra Italia. Un amore lacerato dal pianto delle vedove, delle madri, dei figli orfani, un amore che fu totale dono di sé e che per questo non va dimenticato. Non dimentichiamoci, cari fratelli e sorelle, delle parole di Gesù che abbiamo ascoltato: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” e facciamo in modo che, nel nostro impegno quotidiano, ognuno nel posto ove il Signore lo ha collocato, rimanga vivo l’impegno di dare la vita per i propri amici, di costruire sempre cioè una società che trova la sua identità primariamente nell’amore, quello vero di Dio.
È questo un comandamento che noi troviamo tanto semplice a dirsi, ma quanto risulta poi difficile metterlo in pratica! Nell’esempio di chi ci ha preceduto, però, nell’impegno che ogni giorno desideriamo dare nella nostra personale vocazione, nel desiderio di spendere le nostre energie e i nostri talenti, ritroviamo il coraggio di accogliere l’invito di Cristo.
Questa continua edificazione porta alla pace, l’altra grande parola che oggi vogliamo porre al centro della nostra preghiera. Il Concilio Vaticano II ci offre una chiara descrizione di che cosa essa sia: “la pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia» (Is 32,7). È il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. Infatti il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza, dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è soggetto a continue variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente. […]2”
2. La costanza che richiede quindi la costruzione della pace entra nelle corde più intime di
ciascuno di noi, perché noi tutti siamo in cammino. Nessuno può quindi sentirsi escluso da questo mandato, nessuno può giustificarsi e chiamarsi fuori da questo impegno che, infine, è un impegno della collettività. Ancora una volta la testimonianza dei nostri caduti ci conferma in questo proposito, perché essi non si tirarono indietro, ma anzi si dedicarono completamente, il più delle volte obbedendo ai comandi di un ordine superiore che voleva l’Europa immersa in quella che Benedetto XV definì l’“inutile strage”.
Cari fratelli e sorelle! Amore e pace dunque sono due mandati improrogabili, che non possono essere procrastinati o rimandati. Oggi sentiamo ancora l’urgenza di metterci al lavoro perché il mondo sembra non aver compreso la sua stessa storia: i venti di guerra che soffiano impetuosi ancora e ancora ci dimostrano che noi uomini fatichiamo ad accogliere la semplicità del messaggio di Dio, quello che Giovanni riassume invitandoci ad amarci “gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio”.
Chiediamo al Signore in questa liturgia di suffragio il dono di una rinnovata conversione all’amore e alla pace, alla edificazione vicendevole; a lui affidiamo i nostri caduti di ogni guerra e di ogni forma di violenza e, mentre preghiamo per loro, facciamo sì che la loro testimonianza, la loro morte, le loro storie ci leghino insieme, ci riuniscano, allora come oggi, in quel sentimento che Tognasso descrive come tenerezza infinita che abbracciava in un inno di fede e di amore quel popolo. Che sia la nostra aspirazione di amore e di pace benedetta da Dio, incoraggiata dal suo Santo Spirito e vegliata dai volti innumerevoli che ci hanno insegnato quanto vero sia il discorso di Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. Amen.
1 A. TOGNASSO, Ignoto Militi, XV.
2 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale “Gaudium et spes”, n. 78.